Submitted: 2024-07-04 Accepted: 2024-08-27 Published: 2024-09-26

Issue 1 (2024), 37 – 69

Le sculture del complesso monumentale di via delle
Terme a Porto Torres – Turris Libisonis (Sardegna, Italia)

by Alessandro Teatini

DOI: http://doi.org/10.36950/PR.2024.1.2

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Alessandro Teatini
University of Sassari
Department of History, Human Sciences, and Education
teatini@uniss.it

https://bop.unibe.ch/PR / ISSN 3042-4445

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 37

Le sculture del complesso
monumentale di via delle Terme a Porto
Torres – Turris Libisonis (Sardegna,
Italia)*

Alessandro Teatini
Abstract: Il monumentale complesso di via delle Terme è stato messo in luce tra il 2006 e il 2010
a Porto Torres, antica Turris Libisonis, ma successivamente solo brevi saggi sono stati pubblicati
al riguardo da parte degli scopritori. Si affronta qui per la prima volta uno studio frontale delle
notevoli sculture in marmo rinvenute, per inserirle finalmente nel contesto della ricerca sulle
rispettive classi di materiali. Ad una sintesi sulle strutture messe in luce segue inizialmente lo
studio della decorazione architettonica, grazie al quale è possibile inquadrare cronologicamente
in maniera abbastanza precisa la costruzione del complesso. Si prosegue poi con l’analisi delle
statue: due torsi loricati e una figura di Ercole. I pezzi vengono puntualmente riferiti alle rispettive
seriazioni tipologiche e, con motivazioni dettagliate, si propone sia l’attribuzione ad una precisa
iconografia nel caso della statua di Ercole, sia il riconoscimento di specifici principes nel caso dei
due loricati. Vengono allo scopo ricollegati fra loro nuovi e vecchi ritrovamenti, arrivando così a
definire la probabile presenza di una galleria di statue imperiali, l’unica della provincia romana
della Sardegna ad essere stata incrementata con ulteriori dediche nella lunga durata, almeno dal
periodo claudio all’età antonina avanzata, forse in stretto rapporto con un monumento del culto
imperiale.
Keywords: Turris Libisonis; loricati; Ercole; decorazione architettonica; età imperiale
The monumental complex on via delle Terme was uncovered between 2006 and 2010 in Porto
Torres, ancient Turris Libisonis, but subsequently only brief reports were published about it by
the discoverers. For the first time, this study takes a comprehensive look at the notable marble
sculptures found there, to finally place them within the context of research on their respective
classes of materials. After a summary of the uncovered structures, the study of the architectural
decoration follows initially, through which it is possible to chronologically frame the construction
of the complex with considerable precision. The analysis then continues with the statues: two
cuirassed torsos and a figure of Hercules. The pieces are meticulously related to their respective
typological series and, with detailed reasoning, an attribution to a specific iconography is
proposed for the statue of Hercules, together with the recognition of specific principes for the two
cuirassed torsos. For this purpose, new and old findings are linked together, leading to the
probable identification of a gallery of imperial statues, the only one in the Roman province of
Sardinia to have been augmented with further dedications over a long period, at least from the
Claudian period to the late Antonine age, possibly in close relation to a monument of the imperial
cult.
Keywords: Turris Libisonis; cuirassed statues; Hercules; architectural decoration; Roman

Imperial Age

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 38

1. Il contesto e la decorazione architettonica
La colonia Iulia Turris Libisonis è stata dedotta per iniziativa di Cesare nel 46 a.C.

durante la sua permanenza in Sardegna, oppure, in alternativa, da Ottaviano negli anni
successivi al 42 a.C.1, in un’area non interessata da precedenti insediamenti urbani
presso la foce del Rio Mannu, sulla costa settentrionale dell’isola nel golfo dell’Asinara,
l’Herculis Insula (Fig. 1). Il ponte che scavalca il fiume collegando la città al suo retroterra
occidentale è certamente una delle strutture più antiche costruite in seno alla colonia
romana, alla quale dobbiamo tuttavia affiancare il complesso monumentale di via delle
Terme (Fig. 2), intercettato nel corso di programmi di rinnovamento edilizio del comune
e immediatamente oggetto di indagine da parte della Soprintendenza tra il 2006 e il 2010.

Fig. 1. La Sardegna romana: in evidenza
Turris Libisonis (da Mastino 2005, p.
340).
Fig. 2. Planimetria delle emergenze di
Turris Libisonis: in evidenza l’area di via
delle Terme e il ponte romano sul Rio
Mannu (da Petruzzi 2018, fig. 32).

* Mi è gradito ringraziare gli amici e colleghi Nadia Canu, funzionaria archeologa della Sovrintendenza di
Sassari, Stefano Giuliani, direttore dell’Antiquarium Turritano di Porto Torres, e Antonio Ibba, docente di
Storia Romana all’Università di Sassari, per la continua disponibilità che hanno manifestato durante le fasi
di studio di queste importanti evidenze: il loro contributo alla ricerca è stato indispensabile, motivato solo
dall’interesse che sempre dimostrano per il progredire degli studi sulla città romana di Turris Libisonis.
Sono grato ad Angela Napoletano, funzionaria archeologa della Sovrintendenza Capitolina - Direzione
Patrimonio artistico delle ville storiche, per il tempo che mi ha dedicato accompagnadomi a vedere la statua
di Marco Aurelio loricato nel Museo Pietro Canonica a Villa Borghese e illustrandomi le vicende della
scultura nella storia del collezionismo delle antichità Borghese. Un sentito grazie rivolgo anche ai revisori
anonimi della rivista Provinciae Romanae, prodighi di utili suggerimenti ed integrazioni bibliografiche.
1 Mastino 2005, 273-274.

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Le sculture sono state ritrovate durante gli scavi del lontano 2009 e da allora sono
in corso di restauro presso il laboratorio della Soprintendenza, che è stato comunque
aperto periodicamente al pubblico; una breve parentesi tra il 2011 e il 2013 ha visto alcuni
pezzi, già oggetto di interventi preliminari di pulizia, esposti nella mostra “Memorie dal
sottosuolo. Scoperte archeologiche nella Sardegna centro-settentrionale”, allestita al
Museo Nazionale “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari. Nello stesso periodo sono stati
pubblicati alcuni brevi saggi a cura degli scopritori volti ad illustrare ad un ampio pubblico
gli importanti ritrovamenti2: il carattere primariamente descrittivo di questi scritti e il loro
ricco corredo fotografico, ulteriormente implementato da immagini pubblicate sui social
media, hanno reso possibile e, soprattutto, ormai indispensabile, uno studio frontale delle
notevoli sculture rinvenute, per inserirle finalmente nel contesto della ricerca sulle
rispettive classi di materiali. È auspicabile che, a conclusione dei restauri, nuovi
argomenti possano essere aggiunti alla discussione, integrando e correggendo quanto
qui esposto.
La zona interessata dalle indagini si trova lungo il versante orientale del colle del
Faro, tra via Petronia e, appunto, via delle Terme, ed è in diretta connessione con l’area
archeologica detta delle Terme Maetzke (Fig. 3). Il settore di scavo è costretto tra gli
edifici della città moderna: il suo ampliamento non è dunque possibile, rendendo
estremamente improbabile la scoperta di nuove strutture che possano completare il
quadro attualmente a disposizione sulle caratteristiche dell’edificio. Questo si presenta
come un complesso costruito in cementizio e in blocchi di calcare perfettamente
squadrati, variamente articolato in aggetti di diversa natura3 (Fig. 4): la fronte, scavata
per una lunghezza di circa 7 metri e conservata per un’altezza di circa 3 metri, si raccorda
a est con uno spesso zoccolo, mentre sul lato opposto, a ovest, un lungo muro delimita
un’area che si apre a nord della fronte. Questo muro isola a ovest un ambiente
rettangolare pavimentato con un mosaico policromo a motivi geometrici e vegetali
schematizzati che non sembra però fare parte del complesso: il suo ingresso si apre
infatti a nord e non presenta dunque alcun collegamento con la struttura in questione, in
rapporto alla quale, oltretutto, la sua cronologia appare decisamente recenziore in base
a quanto suggerisce il mosaico pavimentale, che si pone nello stesso orizzonte produttivo
dei mosaici delle due domus dette di Orfeo4 e dei Mosaici5 e, forse, quale esito delle
stesse maestranze operanti nella colonia poco dopo la metà del III secolo d.C.
L’iscrizione con una formula di benvenuto leggibile entrando nell’ambiente, inserita
all’interno di uno dei due emblemata ottagonali enfatizzata da una ghirlanda, non aiuta a
stabilire una cronologia più precisa6. Nel muro frontale della struttura si apre un arco,
sopra il quale restano tracce di opera cementizia dell’elevato dell’edificio ormai spogliate
del rivestimento in blocchi7: l’arco dà accesso ad un vano rettangolare voltato a botte, da

2 Boninu, Pandolfi, Deriu, Petruzzi 2011, 337; Boninu, Pandolfi 2012, 343-365, 483-487; Boninu, Pandolfi,
Petruzzi 2013, 283-291; Boninu 2017, 153-158.
3 Boninu, Pandolfi 2012, 355-359; Boninu, Pandolfi, Petruzzi 2013, 284-286; Boninu 2017, 153-155.
4 Angiolillo, Boninu, Pandolfi 2016b, 323-328.
5 Angiolillo, Boninu, Pandolfi 2016a, 507-516.
6 L’edizione dell’iscrizione, assolutamente cursoria e totalmente avulsa dal contesto musivo del quale è
parte integrante, si trova in un lungo resoconto di diversi scavi archeologici eseguiti a Porto Torres: Boninu,
Pandolfi 2008, 1788-1790 (EDR155117).
7 L’allisciamento del cementizio al di sopra dell’arco ha fatto supporre che qui fosse originariamente murato
l’elemento di fregio-architrave in marmo con l’iscrizione EDR153028 = Boninu, Pandolfi 2012, 101, vista
anche una certa corrispondenza nelle dimensioni: Boninu, Pandolfi 2012, 483-486. Ci sembra tuttavia che
la superficie liscia nel cementizio sia determinata piuttosto dall’asportazione dei blocchi durante la
spoliazione tardoantica e altomedioevale dell’edificio (vedi infra p. 41). Peraltro l’iscrizione in questione è

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dove si prosegue con una galleria ugualmente voltata che scende di quota dirigendosi
verso est, ma mancano ulteriori dettagli perché lo scavo di questi spazi interni non è stato
terminato. L’apertura di un saggio di scavo presso una delle fondazioni ha permesso di
datare su base stratigrafica la costruzione dell’edificio ai decenni compresi tra il I secolo
a.C. e la metà del I secolo d.C.8.

forse di età flavia: Boninu, Le Glay, Mastino 1984, 58 (nota 103); tale cronologia è dunque più tarda di
quella che potremo attribuire infra al complesso edilizio in base alla decorazione architettonica.
8 Boninu, Pandolfi 2012, 355-357, 486-487; Boninu 2017, 153-155. In Boninu, Pandolfi, Petruzzi 2014,
1827 tale datazione viene ristretta alla prima metà del I secolo d.C..

Fig. 4. Panoramica generale del complesso di via delle Terme verso sud-
ovest
(https://www.facebook.com/photo/?fbid=625194230977055&set=pcb.62
5194477643697).

Fig. 3. Pianta del complesso di via delle Terme (da Boninu, Pandolfi
2012, p. 346).

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Nell’impossibilità di disporre di un quadro d’insieme esauriente sulle caratteristiche
planimetriche dell’intero complesso è solo l’analisi dei materiali scultorei che può fornire
sia conferme circa l’importanza di questo monumento, sia ulteriori indicazioni di carattere
cronologico in riferimento alle sue fasi di vita nell’età imperiale. Le sculture sono state
ritrovate nei livelli corrispondenti alla defunzionalizzazione e destrutturazione dell’edificio
(Fig. 5), intervenute già in età tardoantica e proseguite nel corso dell’alto medioevo9.

Fig. 5. Alcune delle sculture al momento del ritrovamento
(da https://www.facebook.com/photo/?fbid=625194377643707&set=pcb.625194477643697).

Tuttavia l’accumulo di questi materiali in funzione della spoliazione delle strutture non
riguarda verosimilmente un fusto di colonna e il capitello corrispondente, la cui giacitura
davanti alla fronte del complesso sembra corrispondere ancora ad una situazione di
crollo, verosimilmente intenzionale. Tale accumulo ha ovviamente determinato l’assoluta
casualità delle evidenze recuperate, che con grande verosimiglianza provengono tutte
da questo stesso contesto architettonico e costituivano certamente solo una minima
parte del suo apparato decorativo, comprendente anche intonaci dipinti e rivestimenti
marmorei10: numericamente è dunque ridotto il lotto dei pezzi rimasti, comprendente tre
statue frammentarie in marmo e alcuni elementi della decorazione architettonica, fra i
quali riconosciamo, in base a quanto già edito preliminarmente, i voluminosi frammenti
di quattro fusti di colonna11. Uno di questi, quasi integralmente ricomponibile, è liscio e
9 Boninu, Pandolfi, Deriu, Petruzzi 2011, 337; Boninu, Pandolfi 2012, 350-354, 357; Boninu, Pandolfi,
Petruzzi 2013, 285-286.
10 Boninu, Pandolfi, Deriu, Petruzzi 2011, 337; Boninu, Pandolfi 2012, 357; Boninu, Pandolfi, Petruzzi 2013,
286; Boninu 2017, 155.
11 Boninu, Pandolfi 2012, 360, 365: tali elementi sono qui solo citati cursoriamente e genericamente, senza
alcuna misura (“…colonne di marmo scanalate, lisce, di diversi diametro e altezza…Alle colonne, pilastri,

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lesene corrispondono idonei capitelli”; ovviamente gli Autori si riferiscono ai fusti di colonne), ma
fortunatamente le fotografie a pagina 365 consentono qualche ragionamento in più.

Fig. 6. Il fusto di colonna
in marmo bianco (da
Boninu, Pandolfi 2012,
p. 365).

Fig. 7. Il sommoscapo di un fusto di
colonna in marmo, forse
Pavonazzetto (da Boninu, Pandolfi
2012, p. 365).

Fig. 8. Il fusto di colonna in
marmo brecciato, forse
Portasanta (da Boninu,
Pandolfi 2012, p. 365).
Fig. 9. La base di lesena in
marmo bianco al momento
del ritrovamento insieme a
un capitello e al fusto di
colonna rudentato (da
Boninu, Pandolfi 2012, p.
364).

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sembra in calcare, mentre gli altri tre sono certamente in marmo: il più grande, in marmo
bianco (forse lunense) manca di quasi tutto il terzo inferiore, che era rudentato (Fig. 6),
e sul piano di posa dell’imoscapo presenta un foro circolare per perno collegato ad
un’incisione che raggiunge la circonferenza; un voluminoso frammento comprendente il
sommoscapo di un fusto in marmo bianco con fitte venature e macchie bluastre potrebbe
essere in Pavonazzetto (Fig. 7), ampiamente diffuso a Roma dalla tarda età
repubblicana12; infine di un più piccolo fusto resta un’ampia porzione centrale in un
marmo rossastro brecciato che presenta le caratteristiche del Portasanta (Fig. 8), la cui
presenza a Roma diventa cospicua dal periodo di Nerone13. In marmo lunense sembra
essere anche una base di lesena del tipo attico-romano (Fig. 9), comprendente
l’imoscapo della lesena rudentata: la somiglianza con la colonna rudentata rende lecito
ipotizzare che nel corpo della struttura si trovasse un ordine di lesene al quale
corrispondeva un ordine libero di colonne immediatamente di fronte a queste. È inoltre
possibile, vista la diversità dei fusti di colonna, che la fronte fosse caratterizzata da più
ordini sovrapposti14.

Certamente hanno maggior valore diagnostico due capitelli corinzi normali,
anch’essi forse in marmo lunense, uno di colonna, certamente riferibile al fusto rudentato
già citato, e uno di lesena, probabilmente parte della medesima lesena della base
precedente. Il capitello corinzio di lesena15 (larghezza inferiore cm. 62, spessore inferiore
cm. 33, larghezza massima abaco cm. 72, spessore abaco cm. 44), di tipo occidentale
(Fig. 10), manca del fiore d’abaco e della parte superiore del lato destro comprendente il
sottostante calice con le volute e l’angolo dell’abaco: sull’ampia superficie della frattura,
in corrispondenza dell’angolo, si riconosce un piccolo perno in ferro relativo ad un
restauro antico; vistose scheggiature segnano inoltre le cime delle foglie e gli spigoli. Sul
piano di posa si trovano tre fori, uno di forma circolare con il perno in ferro all’interno, uno
rettangolare (dimensioni: larghezza cm. 10, spessore cm. 5.7, profondità cm. 6.5) e uno
quadrato (dimensioni: lato cm. 12, profondità cm. 6): questi ultimi potrebbero essere
funzionali al sollevamento tramite una leva16. Sul piano di appoggio un unico foro
circolare serviva, come il precedente, per l’inserimento di un perno.

Il kalathos è composto da due corone di foglie d’acanto, la prima ne comprende
quattro e la seconda cinque, delle quali quella della prima corona sul lato destro è liscia,
è stata dunque lasciata priva di rifinitura vista la posizione laterale a ridosso del muro dal
quale aggettava la lesena, che rendeva pertanto questo dettaglio non ben percepibile dal
basso; eventualmente gli elementi vegetali della foglia potevano anche essere completati
al momento della messa in opera, completamento che nel nostro caso palesemente non
avvenne. Le altre foglie si caratterizzano per la piatta costolatura mediana che si allarga
alla base ed è incisa da un leggero solco centrale e da solchi laterali più profondi, dalla
quale si dipartono i lobi a quattro fogliette ogivali separati da zone d’ombra a goccia
leggermente inclinate. I cauli si inclinano tra le foglie della seconda corona e sono cinti
da un orlo a corolla, mentre al centro il calice dello stelo del fiore d’abaco è costituito da
una foglia liscia. Infine le elici e le volute si presentano piatte e massicce.

La seconda corona raggiunge in altezza la metà del capitello, secondo una
tradizione impostata a Roma in età augustea e seguita nel periodo giulio-claudio, periodo
al quale rimandano anche i caratteri delle foglie di acanto, con le fogliette ogivali e le
12 Borghini 1997, 264-265.
13 Borghini 1997, 285-287.
14 Così già in Boninu, Pandolfi 2012, 486.
15 La descrizione con alcune misure utili (putroppo non tutte) è in Boninu, Pandolfi 2012, 364-365 e Boninu,
Pandolfi, Petruzzi 2013, 289.
16 In Boninu, Pandolfi, Petruzzi 2013, 289 sono invece interpretati anch’essi come fori per perno.

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zone d’ombra tra i lobi che si allungano e inclinano. Questa tipologia, caratterizzata
ancora da valori plastici e da una certa attenzione alle proporzioni e alla raffinatezza del
disegno, rimanda alle produzioni urbane dei decenni compresi tra la tarda età augustea
e il terzo venticinquennio del I secolo, nell’ambito delle quali troviamo in effetti i riscontri
più puntuali per il nostro pezzo, ben evidenti soprattutto nella documentazione di Roma
e Ostia degli anni centrali del secolo17: tale datazione più circoscritta ci sentiremmo
dunque di assegnare anche al nostro esemplare18. Certamente il contesto produttivo di
riferimento precede la nascita del capitello corinzio normale di stile flavio, che trova la
sua standardizzazione nell’edilizia domizianea19.




Nel capitello corinzio di colonna, anch’esso di tipo occidentale20 (Fig. 11), sono
spezzati i fiori e un angolo dell’abaco con le sottostanti volute, mentre semplici
scheggiature intaccano le cime delle foglie e gli spigoli. Il piano di posa è segnato presso
il margine da tre fori, due circolari e uno rettangolare, mentre un unico foro circolare sul
piano di appoggio, funzionale all’alloggiamento di un perno in piombo del quale restano
cospicue tracce, corrisponde evidentemente all’analogo foro sull’imoscapo del fusto
rudentato visto prima (Fig. 9). Sia il tipo di marmo sia i caratteri formali sono identici al
capitello precedente: lo si rileva nelle otto foglie d’acanto di ciascuna delle due corone
del kalathos, nei cauli, nel calice dello stelo del fiore d’abaco, nelle elici e nelle volute.
L’inquadramento è dunque il medesimo e, come si è detto, probabilmente i due ordini di
supporti corinzi rudentati si collegavano fronteggiandosi, quello libero delle colonne e
quello delle lesene nel corpo architettonico del monumento.
17 Heilmeyer 1970, 122-129; Pensabene 1973, 56-59.
18 La cronologia proposta in Boninu, Pandolfi, Petruzzi 2013, 289 è invece genericamente il I secolo d.C.,
per “le caratteristiche formali e i confronti” (ma non si esplicita quali siano questi confronti).
19 L’anali di tale classe è in Freyberger 1990, 5-53; un compendio è in Freyberger 1991, 53-55.
20 Il pezzo viene rapidamente segnalato in Boninu, Pandolfi 2012, 486-487 senza l’indicazione di alcuna
dimensione ed è nella fotografia in Boninu, Pandolfi 2012, 364. La foto è dell’Autore: eseguita in data 18-
12-2010 presso il laboratorio di restauro della Soprintendenza, in occasione di una delle reiterate aperture
al pubblico, durante le quali era consentito fotografare senza flash o cavalletto.

Fig. 10. Il capitello di lesena in marmo bianco (da
Boninu, Pandolfi, Petruzzi 2013, p. 288).

Fig. 11. Il capitello di colonna in marmo bianco
(foto dell’Autore, 18-12-2010).

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Questi due nuovi pezzi sono al momento i più antichi capitelli attestati a Porto
Torres, insieme ad altri quattro esemplari corinzi. Due di questi sono semplici
frammenti21, mentre altri due sono quasi integri e si trovano reimpiegati nei colonnati
della basilica di San Gavino22, privati, in funzione della nuova collocazione, della parte
inferiore con tutta la prima corona (Figg. 12-13): analoghi ai nostri sia tipologicamente
sia, con ogni probabilità, nelle dimensioni (ormai mutile), sono da ritenersi coevi ad essi
e sono stati verosimilmente prelevati dal complesso di via delle Terme durante le fasi di
spoliazione documentate grazie agli scavi a partire dall’inizio del IV secolo fino all’età
altomedievale23, forse per essere reimpiegati inizialmente nei primi due edifici di culto
paleocristiani attestati nell’area di San Gavino24, e poi nella stessa basilica medievale,
insieme a molti altri materiali delle fasi precedenti. Lo studio della decorazione
architettonica consente dunque di collocare la costruzione dell’edificio attorno alla metà
del I secolo d.C., restringendo così l’ampio arco cronologico desunto dai dati stratigrafici
(vedi supra: I secolo a.C.-metà I secolo d.C.).


2. Le statue
Le altre sculture, tutte in marmo bianco e frammentarie, comprendono due loricati

e una statua di Ercole stante. Del loricato più antico si conservano due voluminosi
frammenti del torso, non combacianti, già altrimenti riconosciuti come parte della
medesima scultura25, che ne permettono la quasi integrale lettura. Il maggiore dei due,
ritrovato nel corso degli scavi in via delle Terme, restituisce la metà superiore del torso
con la spalla sinistra e una porzione del braccio (altezza massima 52 cm); è mancante
21 Equini Schneider 1979, 48-49 (nn. 43-44); Salvi 1991, 23 (nn. 39-40); Nieddu 1992, 63-64 (nn. 42-43):
in questi studi vengono datati alla prima età giulio-claudia.
22 Salvi 1991, 11-12 (nn. 3-4); Nieddu 1992, 62 (nn. 39-40): anche in questo caso la loro datazione è stata
fissata in entrambi i saggi all’inizio del periodo giulio-claudio, ma sono più probabilmente appena recenziori.
23 Boninu, Pandolfi, Deriu, Petruzzi 2011, 337; Boninu, Pandolfi 2012, 350-354, 357; Boninu, Pandolfi,
Petruzzi 2013, 285-286.
24 Cfr. da ultimo il saggio critico di reimpostazione metodologica in Fiocchi Nicolai, Spera 2015, 84-85, 89.
25 Boninu, Pandolfi 2012, 361-362 = Boninu, Pandolfi, Petruzzi 2013, 291, con le misure e solo una
sommaria descrizione del frammento maggiore, senza alcuno studio tipologico.

Figg. 12-13. I due capitelli reimpiegati nella basilica di San Gavino (foto dell’Autore, 23-05-2024).

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anche la testa, che era inserita a parte, come indica la parte inferiore del collo ancora
superstite (Fig. 14). Sulla spalla destra un foro rettangolare mutila lo spallaccio destro,
mentre un altro foro, irregolare, si trova poco più in basso sulla superficie di frattura che
delimita il pezzo sulla destra: erano forse entrambi relativi ad un restauro antico del
braccio della statua26. Poche scheggiature segnano il marmo sul mantello e sulle
decorazioni della corazza, la cui superficie è altrimenti allisciata con cura. Tracce di
pittura rossa rimangono su alcuni punti, in particolare nel panneggio del mantello27.

Il frammento minore, che è esposto da tempo al Museo Nazionale di Sassari,
proviene per certo da Porto Torres dove è stato ritrovato nel 1927-1930 in occasione dei
lavori di sbancamento per la costruzione della stazione ferroviaria, che hanno interessato
un’ampia porzione del versante settentrionale della collina del faro28 (Fig. 15). Il pezzo,
edito in varie occasioni29, è di ridotte dimensioni (altezza massima cm. 25) e conserva
soltanto la parte inferiore della corazza sino alla prima fila delle pteryges, una sola delle
quali è ancora visibile quasi integralmente: la decorazione superstite e la medesima
qualità del marmo, traslucido e a grana fine, permettono di ricollegarlo con certezza al
torso precedente, attribuendo la separazione dei due frammenti alle dinamiche della
spoliazione dell’edificio e della sua decorazione durante le lunghe fasi, adeguatamente
indagate, della destrutturazione che lo ha interessato a partire dalla tarda antichità.





La statua loricata era di dimensioni appena superiori al vero, come indica la
ricostruzione dell’altezza completa30: m. 1.85. La figura gravitava sulla gamba destra, in
base alla curvatura dell’orlo inferiore della corazza visibile nel frammento minore, con la
26 In Boninu, Pandolfi 2012, 361 (testo ripetuto uguale in Boninu, Pandolfi, Petruzzi 2013, 291) il foro
superiore rettangolare è invece interpretato in funzione del fissaggio di un attributo della statua.
27 Boninu, Pandolfi 2012, 361 = Boninu, Pandolfi, Petruzzi 2013, 291.
28 Così in Boninu, Pandolfi, Petruzzi 2013, 291.
29 Stemmer 1978, 87-88; Equini Schneider 1979, 33 (n. 19); Saletti 1989, 85.
30 Boninu, Pandolfi 2012, 362 = Boninu, Pandolfi, Petruzzi 2013, 291.

Fig. 14. Il loricato più antico: il maggiore dei due
frammenti (da Boninu, Pandolfi, Petruzzi 2013, p.
290).

Fig. 15. Il loricato più antico: il minore dei due
frammenti al Museo Nazionale di Sassari (foto
dell’Autore, 09-04-2013).

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sinistra leggermente divaricata e arretrata31; il braccio sinistro scendeva lungo il fianco
per piegarsi in avanti e venire avvolto parzialmente dal mantello che ricade dietro la
schiena dalla spalla sinistra, sulla quale poggiano le voluminose pieghe riunite in forma
di rotolo. Il braccio destro non è per nulla conservato, ma il restauro antico al quale è
stato forse necessario sottoporlo suggerisce che si distaccasse dal corpo sollevandosi.
Le caratteristiche della corazza sono ampiamente intellegibili: è di tipo anatomico a due
valve con chiusure laterali (rimane solo quella a sinistra) e scollo circolare, dal quale
fuoriesce la tunica sottostante, ben visibile sia nella spessa piega sul collo sia sul braccio
sinistro, dove la manica mostra la cucitura aperta parzialmente e coperta da una fila di
corte pteryges di cuoio e frangiate poste a protezione della spalla; nel frammento minore
all’orlo inferiore semicircolare e rialzato in corrispondenza del bacino si collega una fila
di pteryges metalliche a linguetta, solo parzialmente conservata, che era verosimilmente
conclusa in basso da una seconda fila.

Anche l’ornato della corazza è pienamente comprensibile. Uno degli spallacci è
visibile ed è segnato dal fulmen tridens, come è alquanto frequente; la decorazione
figurata si estrinseca nel Gorgoneion del tipo orrifico con serpenti allacciati sotto il mento,
che occupa la superficie in alto, mentre al di sotto due Vittorie vestite con corti chitoni e
kalathos sul capo sono affrontate ad un alto thymiaterion: le due figure si pongono con il
busto di fronte e le gambe di profilo, mentre le braccia si sollevano aprendo il palmo delle
mani, una delle quali si avvicina alla sommità del thymiaterion. Le Vittorie poggiano i piedi
su delicati racemi fioriti originati da una palmetta rovesciata, che risalgono lungo i fianchi
della corazza fino all’altezza delle figure32. Le sottostanti pteryges a protezione del bacino
sono orlate da un motivo puntiforme ed erano ulteriormente decorate, come si evince
dall’unico elemento superstite nella sola parte superiore: qui troviamo una testa leonina
con fauci spalancate sormontata da sottili girali vegetali incisi; le cerniere lunghe e sottili
dalle quali pendono le linguette liberano superiormente una fascia incisa ugualmente con
girali. Una seconda fila di pteryges si scorge appena sotto la prima: la decorazione incisa
sembra qui più semplice, di carattere floreale, come è la norma. Non sappiamo se infine,
sotto il bordo inferiore della corazza, pendessero lunghe pteryges frangiate di cuoio.

Il loricato è del tipo classicistico, al quale rimandano decisamente i caratteri qui
riscontrati, oltre alle file di pteryges metalliche a chiudere inferiormente la corazza, forse
anche con le sottostanti fasce di cuoio che definirebbero così pteryges di tipo “misto”33.
Si tratta della statua loricata più diffusa nel corso del principato, basata su schemi attici
ripresi in età augustea enfatizzando la possibilità di decorare la corazza e le linguette
delle pteryges34: in questo senso si nota anche la parziale adesione al modello «Marte
Ultore» del tipo classicistico, il cui apparato decorativo era particolarmente ricco,
accentuato tramite la ricaduta del panneggio dalla spalla, che viene replicata anche nella
nostra scultura, e venne assiduamente applicato per la committenza delle province
occidentali35. Le Vittorie fiancheggianti il thymiaterion, decorazione principale della nostra
corazza, sono un motivo ricorrente nelle statue loricate, che K. Stemmer divide in due
sottogruppi in base alla maggiore o minore lunghezza del chitone36: le Vittorie con chitone

31 Così in Saletti 1989, 85; contra in Stemmer 1978, 87 lo schema viene erroneamente invertito.
32 Questa parte della corazza, relativa al frammento minore, è esaurientemente analizzata in Saletti 1989,
85.
33 Gli elementi utili alla tipizzazione sono puntualmente enucleati in Cadario 2004, 13-15. Nel tipo ellenistico
le pteryges sono invece lunghe e frangiate e pendono da un corsetto cilindrico.
34 Cadario 2004, 116-120.
35 Cadario 2004, 139-141.
36 Stemmer 1978, 155, con attenta disamina sulla valenza simbolica di tali immagini.

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 48

corto, come è qui il caso, sono attestate dalla prima età claudia fino a Traiano37.
In questo arco cronologico si addensano i confronti, talora molto puntuali, con la

statua turritana, non solo di carattere iconografico ma anche in merito allo schema
adottato per l’impostazione della figura; riscontri assai precisi sono offerti in particolare
da due loricati in marmo: uno è quello al Pergamonmuseum di Berlino (Fig. 16), forse
proveniente da Roma, con testa di Marco Aurelio inserita a parte ma non pertinente,
databile alla tarda età claudia38; l’altro è la statua di Nerone da Velleia, ora al Museo
Archeologico Nazionale di Parma (Fig. 17), il cui ritratto, ugualmente inserito a parte, è
stato rilavorato prima come Domiziano poi, da ultimo, come Nerva39. Poche le differenze
riscontrabili nella decorazione della corazza di questi due esemplari rispetto a quello di
Porto Torres, segnatamente nella postura delle Vittorie con il busto di profilo invece che
di fronte, mentre tutti gli altri elementi iconografici corrispondono nelle tre statue fino nei
particolari. Anche lo schema generale dei due confronti corrisponde a quello della nostra
statua, per quanto le sia attribuibile di preferenza la gestualità con il braccio destro
sollevato del loricato veleiate, in base a quanto evidenzia il restauro antico nella zona
della spalla; inoltre nei tre loricati la testa è sempre inserita a parte. Le analogie nelle
dimensioni sono ugualmente interessanti: se la figura del nuovo loricato doveva
raggiungere l’altezza di m. 1.85 (escluso il basamento), le due statue ora a Berlino e a
Parma sono alte complessivamente m. 2.08 e m. 2.04 (compreso il basamento).

Le indicazioni iconografiche derivanti dai confronti qui riportati vengono rafforzate
da considerazioni di carattere stilistico: una grande attenzione è rivolta ai valori plastici,
soprattutto evidenti nella ricaduta del panneggio dalla spalla sinistra, ove le pieghe
raggruppate nella forma di un rotolo si ritrovano particolarmente a Velleia come a Porto
Torres; l’uso del trapano è inoltre assai limitato nelle tre sculture, si riscontra soltanto in
pochi dettagli. Tali argomentazioni suggeriscono di assegnare anche al loricato
proveniente da Turris Libisonis una cronologia analoga ai due citati prima quali confronti,
collocandone così la realizzazione alla fine del periodo claudio, mentre l’alto livello
esecutivo non lascia dubbi sull’attribuzione delle tre statue ad ateliers urbani40. Con una
precisione maggiore, ma a livello di semplice ipotesi di lavoro, potremmo avanzare la
proposta di riconoscere nel personaggio onorato a Porto Torres l’imperatore Nerone41,
destinatario dei medesimi onori a Velleia: questo in rapporto al “momento di svolta”42 che
il principato dell’ultimo dei Giulio-Claudi costituì per la provincia della Sardegna, con esiti
a livello di monumentalizzazione altrimenti attestati anche nella colonia di Turris
Libisonis
.

Il secondo torso loricato, di dimensioni molto superiori al precedente, apparteneva
ad una statua in marmo a grana grossa che si avvicinava ai tre metri di altezza43: il torso,

37 Stemmer 1978, schema allegato a pagina 152.
38 Stemmer 1978, 60-61.
39 Cadario 2004, 182-183; Cadario 2020b, 46. In precedenza: Vermeule 1959, n. 113, ove vi si riconosce
in origine Domiziano; Saletti 1968, 52-57, con una datazione al periodo giulio-claudio; Stemmer 1978, 8-
10, ove si propende per la prima età claudia.
40 Tali considerazioni a proposito del loricato veleiate sono in Cadario 2008, 287-288.
41 Si consideri che già in Stemmer 1978, 87-88 e in Kreikenbom 1992, 89 (nota 709) è ritenuto di età
neroniana il frammento minore con la parte inferiore della corazza, mentre in Equini Schneider 1979, 33 si
propende per la prima metà del I secolo d.C., datazione precisata poi meglio in Saletti 1989, 85 (età
protoclaudia). In Boninu, Pandolfi, Petruzzi 2013, 291 si riprende dunque la cronologia della prima metà
del I secolo attribuita da E. Equini Schneider al frammento già al Museo di Sassari per datare anche il
nuovo ritrovamento di via delle Terme.
42 Definizione in Ibba 2015, 43-47, sintesi con ampia letteratura precedente.
43 Così in Boninu, Pandolfi 2012, 362-364, con una rapida descrizione e l’elenco dei pezzi ritrovati, ma
senza riportare le loro misure: considerazioni riproposte poi in Boninu 2017, 156.

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 49

conservato integralmente, include anche una ridotta porzione della coscia sinistra, la
spalla destra e il braccio sinistro compreso l’avambraccio, oltre al collo (Fig. 18). Nel
corso dello scavo sono stati pure recuperati vari frammenti combacianti che
consentiranno di ricostruire la gamba sinistra sino alla caviglia e di ricongiungere al torso
la gamba destra, conservata in un unico voluminoso frammento con il piede e la
cornucopia che fungeva da sostegno (Fig. 19); sarà poi possibile integrare il braccio
sinistro con la mano che stringe l’elsa della spada, conservata in un altro frammento con

Fig. 16. La statua al Pergamonmuseum di
Berlino
(https://commons.wikimedia.org/wiki/File:
0150_Statue_Marcus_Aurelius_anagoria.J
PG).

Fig. 17. La statua da Velleia, Museo
Archeologico Nazionale di Parma (foto
Museo Archeologico Nazionale di
Parma).

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 50








Fig. 18. Ricostruzione fotografica del loricato
più recente con il torso e alcuni frammenti
recuperati
(https://www.facebook.com/photo?fbid=6267
71437666101&set=pcb.626771517666093).

Fig. 19. Il torso e la gamba destra del loricato prima
dei restauri
(https://www.facebook.com/photo/?fbid=178228836
1934297&set=pcb.1782289851934148).

Fig. 20. Il braccio sinistro del loricato con la
mano e l’elsa della spada (foto dell’Autore,
27-05-2013).

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 51

la sola mancanza di alcune dita (Fig. 20). Non è stata invece ritrovata la testa del
personaggio e risulta mancante anche l’intero braccio destro. Sono scheggiate e abrase
molte porzioni della superficie, con particolare insistenza sulle pteryges, ma restano
ancora tracce di colore giallo sulla tunica e rosso in corrispondenza del mantello e della
corazza44.

Lo schema della statua è quello con la gamba destra tesa e la sinistra flessa e
scartata lateralmente. Il braccio destro, non conservato, era disteso all’esterno in
posizione quasi orizzontale, quello sinistro si piega e nasconde al di sotto la spada, la cui
elsa è stretta nella mano. Il torso è coperto dalla corazza anatomica, parzialmente
nascosta dal drappeggio del mantello fissato sulla spalla destra con una grande fibbia a
disco liscia e con umbone in rilievo (Fig. 21): la ricaduta del mantello in ampie ondulazioni
nasconde la scollatura della corazza e gli spallacci (si intravede solo l’attacco inferiore di
quello a destra) avvolgendo la spalla sinistra per impostarsi infine sul braccio sinistro, da
dove scende verticalmente in morbide pieghe collegandosi con un voluminoso puntello

orizzontale alla coscia sinistra.
Sotto la corazza si intravede la
tunica; ai piedi sono i calcei mullei:
è ben riconoscibile quello di
sinistra, al quale si addossa la
cornucopia posta in funzione di
sostegno alla statua, ripiena di
spighe e frutti (melograni, una
pigna, un grappolo d’uva).



44 Informazione in Boninu 2017, 157.

Fig. 21. Il torso del loricato (da
Boninu, Pandolfi 2012, p. 498).

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 52




La decorazione della corazza è accentrata su due Grifoni affrontati, sotto i quali lo

spazio curvo dell’orlo inferiore è occupato da un’aquila araldica in volo a sinistra ma
retrospiciente e con il fulmen tra gli artigli (Fig. 22). Il cingulum copre parzialmente i
Grifoni e si annoda in vita con un voluminoso fiocco, che si articola dal centro ripiegando
le estremità frangiate sotto la cintura dove queste formano un rotolo, per ricadere infine
sui fianchi. Inferiormente il bacino è protetto dalle pteryges che estendono la corazza,
profilate in forma di linguette semicircolari dalla superficie decorata, i cui elementi solo in
alcuni casi sono ancora leggibili a causa delle profonde scheggiature ed abrasioni: si
riconoscono soltanto una rosetta a quattro petali, due scudi incrociati, una testa d’aquila
e un elmo. Lunghe pteryges frangiate di cuoio dalla sezione alquanto larga concludono

Fig. 22. La corazza del loricato (foto Emanule Fancellu, https://api-sites-
prd.saegroup.abinsula.com/api/media/image/contentid/policy:1.11775557:1653370189/image/ima
ge.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a).

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in basso la corazza, lasciando
apparire, subito sotto, la tunica
che aderisce alla coscia sinistra
coprendola con delicate pieghe
arcuate. La tunica fuoriesce
anche dalla spalla sinistra,
coperta da corte pteryges di
cuoio ugualmente frangiate.
La corazza è perfettamente
riconoscibile nel tipo «Afrodisia»,
caratterizzato proprio dai due
Grifoni antitetici parzialmente
coperti dal cingulum, il legame
dei quali con Apollo si intende
così riverberare sul princeps45:
per la sua diffusione nel corso del
II secolo il tipo può definirsi
emblematico di questo periodo,
con una casistica che fornisce
esempi anche molto simili al
nostro loricato sin nei dettagli,
soprattutto da contesti
occidentali46. In particolare
l’aquila sotto il cingulum, carica di
rimandi a Giove47, diventa
peculiare dell’iconografia della
corazza degli imperatori nella
seconda metà del II secolo48:
elemento questo che, insieme
alle grandi dimensioni della
statua, converge verso

l’identificazione del personaggio
come un princeps. E proprio in tale

arco cronologico troviamo loricati in marmo che ripetono lo schema generale, la posizione
del mantello e, soprattutto, la decorazione della corazza del nuovo esemplare da Porto
Torres: ad esempio il torso al Museo di Tarsus49 (Fig. 23) e la statua molto probabilmente
di Marco Aurelio dal Serapeo di Leptis Magna50 (Fig. 24). Possiamo aggiungere i seguenti
due loricati a Napoli: un torso di Antonino Pio o Marco Aurelio51 (Fig. 25) e una statua al

45 Stemmer 1978, 153.
46 Cadario 2004, 357-371; Cadario 2020a, 250-251.
47 Stemmer 1978, 161.
48 Cadario 2012, 286; Cadario 2020a, 250. Dobbiamo escludere la statua nella Villa Abamelek a Roma,
pesantemente integrata: l’aquila nella superficie inferiore della corazza è infatti molto probabilmente di
restauro (così in Stemmer 1978, 50-51, schema allegato a pagina 152 con datazione, ipotetica, ad età
adrianea).
49 Cadario 2020a, 251.
50 Cfr. da ultimo: Cadario 2012, 286 (qui a proposito del Marco Aurelio loricato da Alessandria d’Egitto,
dall’analogo schema ma diverso nei dettagli della corazza); Buccino 2014, 22-24 (con bibliografia
precedente).
51 Cristilli 2008-2011, 429-446.

Fig. 23. Il torso loricato al Museo di Tarsus (da Cadario
2020a, fig. 17b).

Fig. 23. Il torso loricato al Museo di Tarsus (da Cadario
2020a, fig. 17b).

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Museo Archeologico Nazionale con
ritratto moderno datata ad età severiana,
ma forse appena più antica52 (Fig. 26); e

52 Cristilli 2008-2011, 435-436.

Fig. 25. Il torso loricato a Napoli (da Cristilli
2008-2011, fig. 4).

Fig. 24. La statua forse di Marco Aurelio da
Lepcis Magna (https://vici.org/vici/12069/).

Fig. 26. La statua al Museo Archeologico
Nazionale di Napoli

(https://www.boredpanda.com/blog/wp-
content/uploads/2023/05/bad-guys-history-

who-actually-werent-bad6-
6450f10c42179__700.jpg).

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l’immagine di Marco Aurelio con corazza a Villa
Borghese, ancorché ampiamente restaurata negli
arti53 (Fig. 27), esemplari arricchiti tutti dal particolare
del fulmen ghermito dall’aquila. Soprattutto risulta di
grande interesse la statua da Utica ora a Leiden di
età antonina avanzata54 (Fig. 28), ma il cui ritratto è
del periodo tetrarchico, con ponderazione invertita

53 Vermeule 1959, n. 269; Campitelli 2001, 173; Cadario 2012, 286.
54 Vermeule 1959, n. 277A; Salomonson 1960, 60-62; Niemeyer 1968, 100 (n. 64); Cadario 2012, 286.

Fig. 27. La statua di Marco Aurelio a Villa
Borghese (foto cortesia Roma - Sovrintendenza
Capitolina ai Beni Culturali).

Fig. 29. Ritratto di Marco Aurelio in età matura,
Antiquarium di Porto Torres (foto Antiquarium Turritano,
Porto Torres).

Fig. 28. La statua da Utica, Rijksmuseum van
Oudheden di Leiden
(https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Statu
e_of_Maximian,_from_Utica_%28Tunisia%29,_
Rijksmuseum_van_Oudheden,_Leiden_%2896
42554439%29.jpg).

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 56

rispetto alla nostra scultura ma con il fulmen tra gli artigli dell’aquila e la cornucopia di
sostegno.

Da un punto di vista formale il torso di Porto Torres con la corazza del tipo
«Afrodisia» è caratterizzato da un marcato pittoricismo che, tuttavia, non annulla gli effetti
di superficie e il trattamento voluminoso delle pieghe del mantello, uniformando
quest’opera alla maniera delle botteghe urbane dell’avanzata età antonina: a tali
maestranze deve pertanto essere certamente attribuita, concordando così con
l’inquadramento di carattere tipologico suffragato dai numerosi confronti. Più
specificatamente è proponibile l’interpretazione quale statua di Marco Aurelio, a cui si
potrebbe ricollegare un ritratto di età matura, verosimilmente proprio un esemplare già
ritrovato da tempo: la testa in marmo bianco a grana grossa dello stesso princeps ora
all’Antiquarium di Porto Torres faceva parte, per la sua altezza (35 cm), di una statua di
grandi dimensioni, appena inferiore ai tre metri (Fig. 29). È stata ritrovata nel 1925
durante i lavori eseguiti nella zona della stazione ferroviaria di Porto Torres55: lo
spostamento di alcuni pezzi dall’originario contesto del complesso di via delle Terme è
già stato giustificato supra a proposito del frammento di loricato ora al Museo Nazionale
di Sassari, ricollegandolo alle fasi post-antiche del complesso, segnate da consistenti
fenomeni di destrutturazione e spoliazione. Dopo il ritrovamento la base del collo è stata
più volte regolarizzata e sistemata in funzione dell’esposizione museale con la
realizzazione di un foro per un perno56. La testa è uno degli esemplari conosciuti del
quarto e ultimo tipo di ritratto di Marco Aurelio, quello attestato in una cinquantina di
repliche riunite attorno al busto del Museo Capitolino, Stanza degli Imperatori 28,
individuato quale Leitstück per il suo elevato valore stilistico57. Questa tipologia è ben
riconoscibile per un’accentuazione del movimento che attenua la stasi delle precedenti
versioni, esprimendo così un’energia più immediata, vieppiù animata dagli effetti
chiaroscurali58: ciò si nota nella resa dei capelli e, soprattutto, della barba, sensibilmente
più lunga e folta che in passato. Tali repliche si dividono in due varianti, Variante A e
Variante B, distinte dal modo di dettagliare la barba, scandita in ciocche ondulate e riccioli
nella prima variante, compattata in maniera più uniforme e densa nella seconda. La
Variante A conta una quindicina di esemplari59, tra i quali possiamo isolare un piccolo
lotto di sei ritratti accomunati dalla peculiarità di presentare evidenti segni della vecchiaia
incipiente, che ben si appaiano con le intense vibrazioni plastiche caratteristiche del tipo:
se il più noto tra questi è certamente la testa al Museo Nazionale Romano, anche quella
di Turris Libisonis rientra a pieno titolo in tale lotto60. Riteniamo dunque alquanto
plausibile l’integrazione del loricato acefalo di età antonina da Porto Torres con il ritratto
di Marco Aurelio di analoga provenienza custodito nell’Antiquarium della città61 (Fig. 30),
inquadrando così, con una certa precisione, la realizzazione della statua negli anni finali
di vita dell’imperatore: la valenza di questo principato nel contesto provinciale della
Sardegna e in particolare nella colonia di Turris Libisonis è suffragata da una
documentazione importante62, nella quale possiamo inserire sicuramente anche la nuova

55 Equini Schneider 1979, 28; Saletti 1989, 81-82.
56 Colombi, Pandolfi 2004, 34.
57 Fittschen, Zanker 1994, 76-77.
58 Il quarto tipo è esaurientemente studiato nel recente Niederhuber 2022, 67-69, 98-99, con la bibliografia
precedente (l’esemplare di Porto Torres è al n. 41 del catalogo).
59 Un elenco preliminare è in Bergmann 1978, p. 41.
60 Cioffarelli 1988, 294-296.
61 A 15 anni dalla scoperta delle statue di via delle Terme è in questa sede che, per la prima volta, viene
proposto il legame tra il loricato in esame e il ritratto di Marco Aurelio.
62 Zucca 1994, 902-903, 906-907; Ibba 2021, 240-241 (in particolare nota 44).

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 57

evidenza del loricato dal complesso di via
delle Terme.

Infine la terza statua, quella di
Ercole, è conservata nel torso in marmo a
grana fine, ancora completo di alcune
porzioni degli arti (Fig. 31): la gamba
sinistra fino al ginocchio e solo una parte
della coscia destra, la spalla sinistra e il
braccio destro sopra al gomito. Sono stati

recuperati alcuni frammenti con parti della clava, che si distendeva in basso a destra
della figura, e della mano sinistra, mentre la testa, che era lavorata nel medesimo blocco
del torso, risulta mancante. La leontè è scheggiata in più punti, ma, soprattutto, è
spezzata una voluminosa porzione di questa sul fianco sinistro del personaggio; per
contro la politura delle superfici è ancora evidente e vi sono state pure rilevate diverse
tracce di colore, in particolare di tonalità bruna sulla pelle di leone. L’altezza della statua

Fig. 30. Restituzione fotografica del loricato da
Porto Torres con la testa di Marco Aurelio
dell’Antiquarium (rielaborazione da Boninu,
Pandolfi 2012, p. 498).

Fig. 31. La statua di Ercole (da Boninu 2017, p.
156).

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 58

integra è ricostruibile63, raggiungeva 1.60 m.
Il peso del corpo scarica sulla gamba destra, che si tende e si appoggiava

certamente ad un sostegno laterale, mentre la sinistra si flette spostandosi di lato e in
avanti. La leontè si annoda sul petto con due zampe e il capo di Ercole era coperto dalla
testa del leone (Fig. 32), la cui criniera ricade sulla schiena del personaggio con la pelle
dell’animale, che poi passa sotto il braccio sinistro, attorno al quale infine si avvolgeva
(Fig. 33). La clava era trattenuta con la mano destra e poggiava a terra a fianco della
gamba portante. Il torso si sviluppa in ampiezza con un’accurata definizione della
muscolatura e dei caratteri anatomici; una certa attenzione doveva essere rivolta anche
al disegno della pelle di leone, come si evince dalla resa dei dettagli della folta criniera
sulla schiena di Ercole.

L’identificazione del personaggio è stata da subito assai agevole grazie al

63 Una sintetica descrizione è in Boninu, Pandolfi 2012, 360-361 e in Boninu 2017, 157, purtroppo senza
alcuna indicazione circa le misure della parte superstite.

Fig. 32. La schiena della statua con la criniera
e la pelle del leone (da Boninu, Pandolfi 2012,
p. 489).

Fig. 33. Il fianco sinistro della statua (da
https://www.facebook.com/profile/1000
67847861090/search/?q=Via%20delle%
20Terme).

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 59

ritrovamento di parte degli attributi della clava e della leontè. Ci sembra utile segnalare
la possibilità che un frammento scultoreo in marmo bianco di ridotte dimensioni
proveniente dalle vicine Terme Maetzke (dall’humus superficiale, scavi 2003) ed esposto
all’Antiquarium di Porto Torres facesse parte della criniera della leontè di questa stessa
figura (Fig. 34): la sua lavorazione è identica a quanto ritroviamo sulle spalle della statua,
ove la criniera è definita calligraficamente nei dettagli del vello, la qualità del marmo è la
medesima ed il pezzo è verosimilmente combaciante con la stessa statua nella zona
delle spalle.

Resta ancora da definire il tipo iconografico di riferimento di Ercole, che potrebbe
anche suggerire utili proposte in merito alla cronologia, al momento non disponibili.
L’impostazione della figura è certamente quella del cosiddetto Eracle Albertini al Museo
Nazionale Romano, replica romana basata su un prototipo dell’inizio del IV secolo a.C.
nel quale permangono anche riflessi mironiani64. È forse possibile raggiungere una
precisione maggiore grazie all’identificazione di due frammenti attribuibili verosimilmente
a questa stessa statua, scolpiti analogamente in marmo bianco a grana fine: si tratta di
una testa di toro (Fig. 35) e di un piede nudo, quest’ultimo incompleto (Fig. 36), impostati
entrambi su un ridotto basamento, custoditi da tempo nello stesso Antiquarium di Porto
Torres in due diverse vetrine, frammenti che sono stati messi in luce nel 1967 e 1968
durante gli scavi del cardo ovest, prossimo alle Terme Centrali e, dunque, all’edificio
dell’Antiquarium. La testa di toro si conserva quasi integralmente, seppure con diffuse
abrasioni superficiali, eccetto la parte superiore con le corna che è completamente
64 Todisco 1979, 147; Candilio 1981, 351-352; LIMC s.v. «Herakles», 745 [Palagia]. In Kansteiner 2000,
46-48, 129-132 tale iconografia corrisponde a quella definita Eracle Tipo Pitti.

Fig. 35. Testa di toro in marmo bianco
nell’Antiquarium di Porto Torres,
attribuibile forse alla statua di Ercole
(foto dell’Autore, 31-03-2014).

Fig. 34. Frammento in marmo bianco nell’Antiquarium di
Porto Torres, forse parte della criniera della leontè (foto
Antiquarium Turritano, Porto Torres).

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 60

mancante: la fronte è coperta da folta
peluria, le narici sono dilatate, mentre i
dettagli delle orecchie cadenti e degli
occhi chiusi caratterizzano evidentemente
un animale morto. L’altro frammento
restituisce parte di un piede destro del
quale sono spezzate alcune porzioni
comprendenti l’alluce e l’attacco della
caviglia; la lunghezza è comunque
perfettamente misurabile: cm. 26, che
consentono dunque di riferire il piede ad
una figura alta 1.60 m. È stata verificata
l’ipotesi che i due frammenti fossero
combacianti tra loro, con esito positivo65
(Fig. 37): si tratta dunque dell’estremità
destra del basamento di una statua alta
circa 1.60 m e caratterizzata da una testa
mozzata di toro presso un piede nudo.

Considerando che l’altezza della
figura di Ercole doveva essere proprio

questa e che le fasi di spoliazione hanno
disassemblato la decorazione plastica del
complesso di via delle Terme a partire già
dalla tarda antichità, come evidenziato
supra dai casi sia dei due loricati (il primo
assolutamente sicuro, il secondo assai
probabile) sia, forse, del frammento di
leontè, possiamo ipotizzare che i due pezzi
finalmente riuniti facessero parte della
statua di Ercole, la cui iconografia
completa sarebbe pertanto ricostruibile
quale Eracle stante tipo Albertini con il
capo coperto dalla leontè: nell’ambito di
questa iconografia il particolare della testa
taurina sotto la clava ritorna in alcune
sculture databili alla seconda metà del II
secolo d.C.66, tra le quali vi è la statua ai
Musei Vaticani (altezza 1.71 m senza
basamento), con testa non pertinente (Fig.
38) e, non esattamente sovrapponibile
nello schema, una statuetta alla Gliptoteca
di Monaco di Baviera (altezza 65 cm senza

65 Grazie alla disponibilità del direttore dell’Antiquarium, Stefano Giuliani, sempre aperto al confronto e alle
novità della ricerca: pregio purtroppo non universalmente diffuso nelle sedi periferiche del MIC.
66 Todisco 1979, 141-157.

Fig. 36. Piede in marmo bianco nell’Antiquarium
di Porto Torres, attribuibile forse alla statua di
Ercole (foto dell’Autore, 31-03-2014).

Fig. 37. I due frammenti riuniti (foto Antiquarium
Turritano, Porto Torres).

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 61

basamento, Fig. 39)67.

La statua di Ercole da Turris Libisonis, così ricostruita nella sua probabile
iconografia originaria (Fig. 40), aveva trovato collocazione in un’area pubblica della
colonia in un momento forse non troppo lontano dalla dedica del loricato con il ritratto di
Marco Aurelio negli anni finali del suo principato. Le dimensioni ridotte rendono arduo il
suo riconoscimento quale statua di culto in un santuario, ma resta la valenza dell’eroe in

67 Todisco 1979, 144.

Fig. 38. L’iconografia completa nella statua di
Ercole ai Musei Vaticani (da Todisco 1979, tav.
LIV, 1).

Fig. 39. L’iconografia completa nella
statuetta di Ercole alla Gliptoteca di Monaco
di Baviera.
(https://i.pinimg.com/564x/72/bb/94/72bb94
5c49988a0ead1b0c91dbdc7818.jpg).

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 62

rapporto all’isola dell’Asinara,
l’Herculis Insula, situata proprio
di fronte a Porto Torres68. È
purtroppo ancora di difficile
definizione la natura del
complesso monumentale di via
delle Terme, che era forse il
fulcro di tale area pubblica,
all’interno della quale riteniamo
comunque verosimile fosse
ricompreso anche un luogo di
culto. Del resto certamente da
un’area pubblica della colonia
proviene la grande statua
frammentaria in marmo di un
imperatore rappresentato
nell’atteggiamento di Giove69,
ora al Museo Nazionale di
Sassari ma trovata alla fine
dell’Ottocento durante lavori
condotti non lontano dal taglio
della ferrovia nella collina del
Faro, dunque forse assai vicino
a via delle Terme (Fig. 41). Il
resoconto degli scavi segnala
un grande edificio realizzato in
blocchi squadrati, presso il
quale sono venuti in luce
elementi architettonici,
frammenti di sculture e questo
torso di statua di grandi
dimensioni70: è già stata
ricordata in passato l’analogia
tra quanto descritto nel
resoconto e il complesso
architettonico qui in esame71,
che potrebbe dunque arricchirsi
anche di questa nuova
scultura.

È conservato con
parecchie abrasioni solo il torso

di un personaggio seduto in
trono, ove il movimento delle
superfici è affidato al mantello
che ricade dalla spalla sinistra:

68 Rapporto evidenziato anche in Boninu, Pandolfi, Petruzzi 2013, 287; Carboni 2020, 109.
69 Equini Schneider 1979, 31; Boninu 1986, 142; Maderna 1988, 180; Saletti 1989, 86-87; Kreikenbom
1992, 240; Boninu, Pandolfi 2012, 117.
70 Fiorelli 1882, 121-122.
71 Boninu, Pandolfi 2012, 31-32, 487.

Fig. 40. Proposta di ricostruzione fotografica dell’iconografia
della statua di Ercole da Turris Libisonis con l’inserimento
dei pezzi originali (da Boninu 2017, p. 156 e da Todisco 1979,
tav. LIV, 1).

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 63

su questa si appoggia il panneggio costruito in forma di rotolo, che scende poi lungo la
schiena per avvolgere infine le gambe, delle quali rimane soltanto l’attacco al torso
stesso. Due taeniae cadono lateralmente lungo il collo sulle spalle72, funzionali
evidentemente a stringere una corona attorno al capo. La potente struttura con le masse
muscolari in evidenza risaltate dalla posa lievemente scorciata, creata dall’abbassarsi
della spalla destra e dalla torsione del tronco, insieme alle dimensioni imponenti della
figura (l’altezza residua supera 1.10 m), rimandano alla natura divina del modello, la
statua di culto di Giove Capitolino, che qui diventa funzionale all’esaltazione della
potenza imperiale: riconosciamo infatti senza dubbio nella scultura l’immagine di un
princeps, tradotta secondo lo schema del Iuppiterkostüm che è creazione precipua
dell’inizio del Principato73. Così se le prime realizzazioni si devono all’età augustea è
soprattutto al tempo di Claudio che le officine urbane reiterano questa tipologia
statuaria74, le cui attestazioni sono rese in certi casi ancora più simili all’esemplare
72 Dettaglio registrato solo in Kreikenbom 1992, 240.
73 Niemeyer 1968, 59-60; Maderna 1988, 24-48; 163-193; Balty 2007, 56-67.
74 Niemeyer 1968, 104-107; Kreikenbom 1992, 190-193, 198-201, 239-242: qui segnaliamo in maniera
particolare per la loro somiglianza due sculture da Ercolano e da Lucera, in Kreikenbom 1992, 241-242
(nn. V 9, 11) e in Andreae 1994, 160-169.

Fig. 41. Statua in marmo di un imperatore nell’atteggiamento di Giove da
Porto Torres, Museo Nazionale di Sassari (da Boninu 1986, fig. 201).

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 64

turritano grazie a taluni dettagli, quali la lieve torsione del corpo, il mantello arrotolato
sulla spalla sinistra e la corona civica: quest’ultima forse nella rappresentazione statuaria
è ormai priva della valenza giuridica delle origini, proiettando piuttosto il suo valore
simbolico in un orizzonte puramente ideologico75. Le colossali statue frammentarie di
Tiberio e Claudio ai Musei Vaticani replicano i dettagli appena sottolineati e risultano
assai simili alla nostra: provengono dal teatro di Cerveteri e sono entrambe del periodo
di Claudio76. Va tuttavia rimarcato come il ritratto di Claudio, per quanto antico, non sia
pertinente alla relativa statua ma sia l’esito di un’integrazione moderna (Fig. 42),
rendendone pertanto estremamente incerta sia l’attribuzione a questo princeps sia la
presenza delle estremità delle taeniae sulle spalle, che appare invece sicura nel caso
della statua di Tiberio (Fig. 43). La statua di un imperatore come Giove seduto in trono
potrebbe dunque essere la prima ad essere stata dedicata nel contesto del monumento
turritano, forse proprio in età claudia appena dopo la sua costruzione77, seguita poco più

75 Niemeyer 1968, 60.
76 Giuliano 1957, 32-34 (nn. 35-36); Niemeyer 1968, 105-106 (nn. 87-88); Dähn 1973, 65-66, 69-70 (nn.
10, 16); Maderna 1988, 166-168; Fuchs, Liverani, Santoro 1989, 58-64 (nn. 2-3); Kreikenbom 1992, 192-
193, 200 (nn. III 53, 64); Boschung 2002, 85-86.
77 Il legame tipologico e stilistico della statua da Porto Torres con quella di Tiberio da Cerveteri è già in
Kreikenbom 1992, 240, mentre in Maderna 1988, 180 si propende per una datazione in età flavia del nostro
esemplare sulla base delle somiglianze con il torso ora a Potsdam, il cui ritratto di Nerva è ottenuto dalla
rilavorazione di quello di Domiziano (così in Maderna 1988, 170): è stato dimostrato in seguito come il
torso di Potsdam debba essere riferito in realtà al periodo giulio-claudio, considerando sia la dubbia
pertinenza della testa-ritratto al torso, sia la mancanza di attestazioni sicure del Iuppiterkostüm al tempo
dei Flavi, sia argomentazioni di natura puramente formale (Kreikenbom 1992, 220-221).

Fig. 42. Statua di Claudio dal teatro di
Cerveteri, Musei Vaticani (foto
dell’Autore, 02-06-2009).

Fig. 43. Statua di Tiberio dal teatro
di Cerveteri, Musei Vaticani (da
https://www.romanoimpero.com/20
09/06/tiberio-14-37-dc.html).

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 65

tardi dal loricato che abbiamo
riconosciuto, sebbene in via ipotetica,
come Nerone.

Insieme ad essa poteva forse
trovare posto anche la figura femminile
in marmo, purtroppo acefala, stante e
di dimensioni nettamente superiori al
vero, vestita con un chitone e avvolta
in un mantello dall’ampio panneggio
(Fig. 44), proveniente per certo da
Porto Torres ma da località ignota ed
esposta attualmente al Museo
Nazionale di Sassari78: il suo
riferimento ad un personaggio della
famiglia imperiale è probabile viste le
grandi dimensioni, il dettaglio della
lavorazione a parte della testa, non
conservata, e soprattutto l’elevata
qualità esecutiva, frutto di uno stretto
rapporto tra la concezione dell’opera e
la sua lavorazione, nella quale la
grandiosità della statua non
affievolisce il senso dei volumi e la fine
resa plastica, movimentata dal pacato
chiaroscuro delle pieghe del mantello.
La datazione proposta inizialmente da
E. Equini Schneider alla fine del I
secolo è stata in seguito rivista su base
stilistica a favore di una maggiore
antichità, assegnando di preferenza la
realizzazione della scultura alle
botteghe urbane operanti in età
claudia79.

Il complesso di via delle Terme si
configura dunque come un edificio
monumentale la cui precisa
interpretazione non è al momento
possibile80, ma che appare inserito in
uno spazio pubblico specificatamente
deputato all’omaggio rivolto alla casa
imperiale da parte della colonia81: tale

78 Equini Schneider 1979, 29-30; Saletti 1989, 87; Angiolillo 2017, 102-103.
79 Saletti 1989, 87; Kreikenbom 1992, 250 (n. V 30).
80 La proposta di vedervi un teatro in Boninu, Pandolfi 2012, 486 (ripresa in Petruzzi 2018, 28-29 e in
Carboni 2020, 108) è basata sull’identificazione della struttura comprendente l’arco quale parte della
scena, che risulterebbe dunque inserita nel versante del colle del Faro, di fronte alla quale, a nord, si
troverebbe l’orchestra e poi ancora la cavea: quest’ultima non sarebbe pertanto addossata al pendio della
collina come è la norma nei teatri costruiti in un contesto con presenza di alture. In sintesi ci sembra che
la natura dell’evidenza architettonica debba condurre decisamente verso soluzioni più realistiche.
81 Così già in Carboni 2020, 108-109.

Fig. 44. Statua femminile in marmo con chitone e
mantello da Porto Torres, Museo Nazionale di Sassari
(da Angiolillo 2017, p. 99).

Alessandro Teatini | Sculture Porto Torres Provinciae Romanae 1 (2024) 66

omaggio si estrinseca in particolare con la dedica di statue dei principi o dei membri della
loro famiglia perfettamente allineate alla maniera delle produzioni urbane diffuse
altrimenti nell’impero. Un segno tangibile di lealismo dunque, che si reitera nel tempo,
dalle prime testimonianze praticamente coeve alla costruzione della struttura attorno alla
metà del I secolo d.C. sino alla fine del secolo successivo, se non altro per quanto è stato
possibile dedurre dai disiecta membra superstiti, che abbiamo cercato almeno in parte di
riunire collegando tra loro nuovi e vecchi ritrovamenti. Siamo probabilmente di fronte ad
una galleria di statue imperiali82, l’unica della provincia romana ad essere stata
incrementata con nuove dediche nel lungo periodo83: la possibilità di mettere in rapporto
tale galleria con un monumento del culto imperiale è suggestiva e viene rafforzata dalla
presenza di flamines nella colonia di Turris Libisonis, attestata su base epigrafica almeno
nel corso dell’età antonina84. Questa tesi sarà certamente da valutare in un prossimo
sviluppo degli studi sulle importanti testimonianze di via delle Terme, studi ai quali
speriamo di aver fornito qui un primo, indispensabile stimolo. In futuro sarà anche utile
aprire alla possibilità di una riunificazione di tutte le sculture di questa galleria in un’unica
sede espositiva, che dovrebbe ragionevolmente essere l’Antiquarium di Porto Torres.

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82 Ipotesi già in Kreikenbom 1992, 89 (nota 709), limitata però all’età claudia: “…eine claudische Gruppe
vielleicht auch in Turris Libyssonis…”. L’assunto si basava soltanto sulle evidenze dell’immagine
dell’imperatore reso nell’atteggiamento di Giove, della statua femminile panneggiata e del frammento
minore del loricato più antico.
83 La “galleria di ritratti giulio-claudi da Sulci” (Angiolillo 1975-1977, 157-170) ha infatti un excursus
cronologico ben più ristretto e, peraltro, l’assunto che la sua dedica sia avvenuta contestualmente in un
unico momento dell’età claudia è stata recentemente messa in discussione (Cadario 2011, 227).
84 EDR081164: Panciera 2006, 841, 844-845; EDR153268: Panciera 2006, 835-847.

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, Oristano, 11-13 dicembre 1992, Sassari, 857-935.